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martedì 17 aprile 2012

what does not kill you makes you Sean


Si fa così. Si comincia con mille buone intenzioni, ci si sveglia presto, ci si prepara e si parte di buona lena. Poi lungo la strada accade qualcosa che toglie il fiato e rubale energie, e allora si decide di star zitti per un po'. Che tanto non se ne accorgerà nessuno, poiché si dice spesso che in tutto quel che accade non è il mentre, bensì l'inizio o l'epilogo a suscitare reazioni e ad esser ricordato – come con le conferenze, che pare passino alla storia o per il ritardo sulla tabella di marcia nell'apertura dei lavori o per il buffet.

Si tace perché chi tace acconsente, e anche se in teoria non acconsente ad una carrellata di imprevisti nel raggio di due settimane, dopo un po' impara a fare i conti con la pratica.
Si cede il posto al silenzio perché è forse la più intima delle difese, quel luogo protetto dove nessuno si scomoda a entrare, tantomeno a far domande.

Nel frattempo non che la vita si fermi, anzi: si scrive, si pubblicano articoli, si viaggia, si torna, si vince un concorso, si cerca un lavoro, si studia, si leggono pagine che si preferiva non leggere, si va da un medico, si va da un altro medico in città, si cambia città e si cambia medico sperando che a volte la proprietà commutativa fallisca, si litiga, si gestisce una relazione via telefono, si continua a cercare lavoro, si spedisce una lettera perché in fondo si ama dilatare la comunicazione, si aspetta una risposta. Ma a differenza di chi preferisce farsi sentire, c'e' chi ama non fare rumore.   

Et voilà, archiviata la nota esplicativa iniziale e superata in parte la fase blue dei mesi scorsi, ho deciso di uscire dal letargo estetico-sociale (sicuramente coadiuvato dalle temperature polari di questa settimana) e dedicarmi ad attività ricreative assolutamente prive di senso filantropico ma capaci di aumentare esponenzialmente i livelli di serotonina superficiali. A tal fine, per celebrare il disgelo, si è scelto di immolare la discreta riserva di Colle Secco della Cantina Tollo che fino a qualche giorno fa abbelliva il mobiletto Klinqnovisstelfaldkavull della cucina Ikea. Inoltre, l'immancabile ricaduta nell'onicofagia che accompagna le mie fasi lunari calanti da quando ho otto anni può dirsi quasi del tutto oltrepassata, e in onore del ritorno alla normalità ho previsto una seduta di fish manicure e pedicure. Sguissshhhhh. Soprattutto, come fanno tutte le donne convinte di esercitare in questo modo il controllo sul proprio corpo in un periodo di crisi, sono andata dal parrucchiere – luogo per me ancora inesplorato nel terziario della ville e che per svariati motivi non poteva non essere oggetto di questo post.

Premetto che la diffidenza che mi ha allontanata finora dai coiffeurs e coiffeuses locali e' stata onestamente motivata da una difficoltà linguistica in primis (ad esempio, qual e' il margine di manovra applicato in loco ai vaghi concetti di "spuntatina" o di "asciughiamoli al naturale") e dal rapporto servizio offerto/prezzo spesso discutibile. Se a questo aggiungiamo l'intolleranza personale alle mani di sconosciuti hair stylists o presunti tali che mi tastano il cuoio capelluto e mi pettinano con la grazia degli elefanti col tutu' di Fantasia, magari si capisce perché ho aspettato tanto.
Sabato scorso pero' ho preso finalmente il coraggio a due mani e il dizionario tascabile in borsa, e ho deciso di dar fiducia al parrucchiere sotto casa per togliere tre dita di doppie punte sigh sob. Mai avrei pensato di ritrovarmi all'interno di un universo parallelo a metà tra la versione kitsch della casa di Barbie, il salotto di Malgioglio e una sit-com americana degli anni novanta. Varcato il sobrio ingresso del salone Sean Style (dove Sean è il nome del pargolo dei proprietari, che ovviamente figura in versione nature sul retro dei biglietti da visita fucsia), si è aperto un bizzarro mondo fatto di carta da parati zebrata, palla da discoteca che pende dal soffitto, ghirigori di paillettes agli angoli degli specchi e tappeto in pelo di mucca. A darmi il benvenuto, due subalterni con la cresta e le sopracciglia decisamente più curate delle mie e Madame Sean, che in quanto padrona di casa e' l'unica autorizzata ad armeggiare con un paio di forbici rosa glitterate (cosa che però non giustifica l'abbinamento della maglia leopardata con profondo scollo a v al motivo animalier dipinto sulla cuzzetta biondo platino).
Per completezza d'informazioni, diremo che Madame propone anche la ricostruzione unghie declinata in ben tre cataloghi dai quali poter scegliere il variopinto e discreto motivo che più si adatta alla personalità del/la cliente. Nel mio caso, unfortunately, dovrò aspettare ancora un pochino per poter approfittare della fantastica offerta.
Ad un certo punto dell'improbabilità generale, tra uno shampo very very pink, niente balsamo, una pettinata che ha toccato la soglia del dolore dove neppure l'estrazione dei denti del giudizio era arrivata, la lettura (?) delle riviste di gossip locali pregne di vips belgi (?) in mutande ed MTV hits incaricata di diffondere rap francofono nell'aere, dal retrobottega e' uscito fuori uno Shar-pei dal collare ça va sans dire rosa shocking, che dopo un giro di perlustrazione del locale si e' accomodato sull'ex bovino steso sul pavimento e ha cominciato a fissarmi. Ironicamente, con la mia stessa espressione d'incredulità.
Terminato il parrucco, ho pagato, ringraziato e promesso di tornare a trovarli. Più che per le doppie punte, ho la sensazione che mi mancherebbe lo Shar-pei – e un po' io a lui ;-)





1 commento:

Marco ha detto...

Mitica Chiara, mi sei mancata! Ho già twittato il tuo post...
A presto.