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mercoledì 19 dicembre 2012

how Palindromair has changed my life

bottone del "nuovo post" che spunti in alto a destra dello schermo, TI ODIO (specie quando non ho tempo/voglia/ispirazione, tu mi ricordi che ho una pagina bianca da riempire... in questo, condivido il complesso dello 'scrittore-del-web' ben esemplificato in questo comic.
pero' effettivamente un post pre-natalizio e pre-pausa (un'altra :-) ) ci sta, ed e' sufficientemente para-butt da lasciarmi un margine di tre-quattro settimane per rimettermi all'opera l'anno prossimo (per usare un'espressione che a breve spopolera' ai botteghini, 'ntu culo ai Maya!).

ora, escludendo maltempo, corsa ai regali last-minute, crisi isteriche davanti al banchetto dei volontari scout che per impacchettare un libro ci mettono 20 minuti piu' sette pezzettini di scotch buttati, trionfo del buon gusto nelle illuminazioni cittadine, di quartiere e (non contenti) anche degli spazi comuni del condominio e dell'ufficio, delirio da supermercato ricolmo di gente che vaga apparentemente lobotomizzata tra il ripiano del foie gras e l'ultima aragosta dell'acquario (anche qui il menu di Natale e' leggero leggero, come chez nous :-) ), cos'e' che accomuna un po' tutti gli espatriati/esiliati in questo periodo dell'anno? mais bien sure, il volo del rientro - il piu' delle volte con la nota compagnia palindroma dal logo giallo-blu.
e la cosa che ci accomuna tutti e' il FASTIDIO. vi prego, bando al buonismo generale del tipo "eh ma si risparmia, eh ma ha la compagnia palindroma ha cambiato il modo di viaggiare (in peggio) di noi ggiovani, eh ma tutto sommato non e' cosi' male, eh ma se aspettavamo le tariffe di XXX (inserire nome di una compagnia di linea a caso) stavamo freschi, eh ma alla fine per una settimana che non ti basta un bagaglio di 10 chili, in fondo devi solo farci entrare borsa+computer+vestiti+sciarpa, cappello e guanti+regali+una tenda beduina per eventuali bivacchi in aeroporto+tutti i libri di tolkien, vedi mai l'aereo e' in ritardo+un piccolo di alce, per la compagnia". diciamolo senza timore di essere smentiti o tacciati di incontentabili choosy viziati: viaggiare a bordo di un aereo della compagnia palindroma e' un insulto al senso civico inculcatoci dai nostri nonni quando ci portavano sulla corriera e dai nostri genitori ai tempi delle prime trasferte a bordo di trenitalia (che anche li' ne avremmo di cose da scrivere, next year perhaps!).
nel caso concreto, ovvero della sottoscritta che si lamenta ma che viaggia solo con Palindromair perche' e' contenta di atterrare a 40 minuti da casa e non nei pressi del litorale laziale, il fastidio inizia gia' con l'estenuate traversata della steppa belga per ARRIVARE IN AEROPORTO. si noti che Palindromair parte dal secondo aeroporto di bruxelles, mentre un'altra compagnia low cost piu' misericordiosa parte dall'aeroporto internazionale, un aeroporto che include servizi quali Starbucks e Pizza Hut, risaputi segni di civilta' (!). ad ogni modo, gia' qui, meno mille punti per Palindromair, che mi obbliga alla trasferta di un'ora in autobus per raggiungere l'aeroporto che, per aggiungere ulteriore sarcasmo alla situazione gia' surreale, si fa chiamare "the friendly airport". sia chiaro, ben venga il servizio navetta da e per l'aeroporto, e non che io faccia parte di quella schiera di estremisti anti trasporti pubblici, anzi, au contraire. e' piu' il contesto che mi snerva che il viaggio in se'. spiego:
l'autobus per l'unfriendly airport parte dalla stazione principale di bruxelles (si definisce principale la stazione che, in una grande citta', accoglie il maggior numero di senzatetto e borseggiatori), piu' precisamente la fermata si trova praticamente al lato di un marciapiede che solitamente ospita una fila mal organizzata di viaggiatori dai piumini sintetici in tinte fluo e trolley semirigidi a cui mancano maniglie e etichette (grazie Palindromair per come tratti la mia valigia). all'arrivo dell'autobus (solitamente, riconosco, puntuale) scatta il delirio scendi-sali/scarico-carico dei bagagli, con conseguenti pestaggi, testate contro il portellone e bestemmie in varie lingue latine. la compagnia di trasporto e' gestita (credo) da belgi di estrazione italiana (come ha detto ieri la BBC, giuro, in un documentario sui lavoratori stranieri nel terziario), ma gli autisti sono solitamente Ahmed, Mohammed, Youssef e Khaled, o uno dei loro ventotto fratelli. Ahmed (& co.) e' poliglotta, o meglio credo che abbia imparato a rispondere in russo, polacco e spagnolo alle uniche due domande che gli vengono rivolte i.e. 1. scusi signore, questo e' l'autobus per l'aeroporto? e 2. quanto viene il biglietto?
dovendo gestire una mandria di turisti e i loro piumini 100% poliestere che toccandosi l'un l'altro fanno pericolose scintille, va da se' che Ahmed tralascia involontariamente l'aspetto sicurezza, e lascia aperto il portellone dei bagagli da entrambi i lati alla merce' dei passanti. per i ladri, manca una freccia luminosa e un cartello "servitevi, e' gratis" e poi ci siamo. fatti salire a bordo tutti i trasportati, il trasportatore mette in moto e si avvia in aperta campagna, dove inspiegabilmente giace l'autostrada.
fatte salve complicazioni indipendenti dalla sua volonta (vedi neve e assenza di spargitori di sale notturni), Ahmed ci conduce a destinazione in meno di un'ora, il che non e' male consierando anche i tempi dilatati dei controlli di sicurezza nel periodo natalizio. in caso di temperature polari, branchi di karibu in sosta sulla carreggiata o perturbazioni siberiane, Ahmed non parte - in compenso uno dei ventotto fratelli che quel giorno non e' di turno si offre di accompagnarci in taxi per la modica cifra di 200 euro, poco importa se i pneumatici invernali non ce li ha, l'importante e' che Allah ci guida lungo la strada (true story).
ad ogni modo, con o senza Allah riusciamo ad arrivare in netto anticipo in aeroporto. e li' iniza il travaglio in loco, tra bilance pesa-bagaglio a pagamento, solite scene di panico di passeggeri che pur di alleggerire il carico partono con addosso tre maglioni, due sciarpe e un libro nel cappuccio del woolrich, jingles musicali in tre lingue e stagisti assunti per le feste che vestiti da elfi ci ricordano, all'ingresso dell'area controlli, che ogni contenitore di liquidi eccedenti i 100 ml sara' confiscato ed offerto in sacrificio ad Odino, indipendentemente dal contenuto (per citare cose a caso: gel disinfettante per le mani, latte materno o crema antirughe al collagene estratto nelle notti di luna piena dei soli anni bisestili dalle uova di varano di komodo pagata mille mila euro su amazon).
ma questa la tengo in serbo per la prossima puntata eheh ;-)

in the meantime, Merry Xmas (o -mess, fate voi)!

lunedì 22 ottobre 2012

attenzionen, riparazionen

buon dio, questo blog con la sua 'ultima data di pubblicazione' mi ricorda la beata incostanza che accompagna tutte le attività extracurriculari nelle quali ho preteso dilettarmi dalle superiori in poi, a partire dal tentato disegno di fumetti fino al piccolo bricolage, passando per il collage, i braccialetti, gli scooby doo, il giardinaggio, il pianoforte, il corso di portoghese, quello di yoga e la domenica in bici.
il bello è che ne accadono di cose bizzarre e/o interessanti che varrebbe la pena raccontare, ed ogni volta penso "questa me la devo ricordare per scriverla sul blog", poi arrivano le e-mail dell'ultimo minuto, le telefonate del capo-del mio capo-del mio capo che chiedono cose urgentissime con deadline ieri, gli scioperi, lo scioglimento dei ghiacciai, la scomparsa delle api dall'ecosistema e le campagne elettorali che sconvolgono un po' tutti i piani e i buoni propositi ("da domani, ogni settimana, almeno mezz'oretta la devo trovare per scrivere un post, che ce vo'?"). scrivessi per un portale di notizie internazionali, a quest'ora il mio ultimo articolo sarebbe dedicato alla caduta del muro di Berlino.
che poi, dicevo, di episodi ce ne sono stati. qualche giorno fa ad esempio il brioso piano vacanze prevedeva una missione in Germania con obiettivo acquisto di materiali per i lavori di ristrutturazione attualmente in corso nell'appartamento belga. brrr, sento il lettore tremare dall'eccitazione. la cosa simpatica da sapere in realtà è che i negozi di fai-da-te nel dolce regno del Nord Reno-Westfalia non hanno nulla a che vedere con i nostri Brico & co. se il Brico italiano equivale al telefono a gettoni, il Bauhaus tedesco è l'iPad con videochiamata. innanzitutto, all'ingresso c'è un bar/panetteria/tavola calda, pronto ad accogliere i pellegrini che, dopo aver attraversato tutto il Royaume de Belgique a piedi dalle sei del mattino, arrivano a cercar ristoro nel punto vendita teutonico. lì, in un trionfo di pretzel, kasekuchen, strudel, salsiccioni e salumi rosa shocking, il viandante ritrova il calore e l'ospitalità di un tendone dell'Oktoberfest pieno di italiani, e una volta rifocillatosi a dovere, è pronto ad affrontare i doverosi acquisti.
varcata la soglia del Bauhaus, nella prima corsia ci sono già le decorazioni natalizie in bella mostra, perchè il popolo tedesco si sa, è previdente e fa le cose con giusto anticipo. superati punteruoli, palle, palline, renne e slitte fosforescenti, pot-pourri aromatici alla cannella, vaniglia e wurstel, nonchè gli immancabili finti abeti in pvc e lana di vetro, si aprono le porte del paradiso per tutti quei maschietti che, come il mio, sognano in segreto di trascorrere le giornate in garage a riparare macchinari e costruire mobili. una miriade di utensili di cui ignoro la definizione e l'utilizzo anche in italiano, che trasudano testosterone al solo pronunciare le ottantacinque consonanti del nome. non manca il reparto fashion, con tanto di giacche, tute, scarpe ed accessori per lui e per lei.
già, perchè il negozio germanico è decisamente gender-friendly, benchè ingenuamente credessi che questo fosse dominio esclusivo maschile. un paio di vispe donzelle, che chiameremo Helga e Otburga, si aggirano per i corridoi con altrettanta familiarità di una massaia al banco taglio del supermercato (o per alimentare le polemiche di qualche settimana fa, diremo di Barbara d'Urso in una cabina di interpretazione). non nego il senso di inutilità e l'inettitudine che contraddistingue il mio vagare senza meta tra pile di cemento, secchi di collante per fughe e attrezzi visti finora solo nelle apparizioni televisive dei Village People (c'era uno col caschetto da muratore, se non erro. O erro?). ciononostante, consapevole dei miei limiti, decido di non fare troppe domande ed accompagno silenziosamente Domen che fa la spesa.
ne usciamo dopo due ore e mezza carichi, i.a., di cavi, prese, interruttori, bustoni da 20 kg di sigillante (?), 20 pacchi di piastrelle da 15 chili l'uno, due termosifoni e una doccia con luci e radio (non scherzo, stiamo per montare una cabina doccia con la radio dentro, astenersi commenti). comprese tre sessioni di carica-scarica dal furgoncino noleggiato per l'occasione, e quindi tre passaggi dalle casse - dove, e questo è degno di nota, è previsto un pulsante tipo quelli per l'autodistruzione dell'edificio, tramite il quale il cliente può richiedere l'apertura di una nuova cassa in caso sia in fila da più di cinque minuti. a Bruxelles e nel centro commerciale difronte casa a Vasto credo esista il pulsante opposto.
Dopo un panino veloce al Burger King di turno (dove ritroviamo Helga e Otburga, che mangiano tre cheeseburger l'una), rientro chez nous e nuovo carico-scarico del furgoncino, carico-scarico nell'ascensore e spacchettamento generale. alle 22:00pm siamo collassati sul divano col cerotto antidolorifico sulla schiena alla Balotelli e le mani ruvide dei muratori. ma ammetto che l'idea di rendere questo appartamento un po' più 'nostro' non mi dispiace. anche se inevitabilmente il tutto comporta 10 ore ininterrotte di trapano e polvere ovunque.
come da qualche giorno a questa parte, da quando abbiamo adottato due amabili elettricisti polacchi che non ho idea cosa si dicano durante i lavori ma sfondano pareti e piazzano cavi che è un piacere. quegli stessi cavi acquistati nel Bauhaus tedesco. Merci l'integrazione europea, che in polacco credo si dica dzywiedyzxkwczciè :-)

domenica 26 agosto 2012

qualcuno volo' sul nido sbagliato

e' tornato. o forse non se n'e' mai andato, solo che non ne ero al corrente - occhio non vede, cuore non duole, sante ferie...
puntuale come la pioggia di fine estate, le superofferte di cartame vario per la scuola, le promozioni di tutte le palestre del circondario compresi la scuola di karate e il centro anziani, nonche' i mezzi pubblici che tornano ad intasarsi ed intasare l'urbe, e' tornato anche lui.


il piccione sul balcone.

ora, la situazione non e' piu' ai livelli allarmanti degli anni precedenti, dove a turbare la quiete del focolare domestico era una coppia, lei sulla finestra della camera da letto-lui sul balcone in cucina. a forza di super liquidator, freccette, pistole giocattolo con pallini, magliette rosse comuniste messe a mo' di spaventapasseri e filo spinato lungo il davanzale, si era faticosamente arrivati ad una tregua.
ma con i mesi estivi - e con tutto il vicinato giovine in villeggiatura con i soli pensionati rimasti che addirittura provvedono alla pastura tirando pezzi di baguette verso i piani bassi - la no fly zone e' stata nuovamente violata.
il mio aficionado (perche' quest'anno pare sia da solo, il che per un momento mi e' quasi dispiaciuto), nei secoli fedele, si piazza beatamente sul balcone e credo abbia imparato ad incastrare le zampette tra uno spuntone e l'altro del filo metallico per non farsi male.
fin qui nulla di nuovo, se non un tributo all'evoluzione. la novita' - e soprattutto cio' che ha fatto scattare il bracconiere in me sopito - e' che il pennuto pare trascorra il tempo facendo delle promenades tra il basilico e i pomodorini piantati dal consorte. in realta', passi per i pomodorini che - puta intolerancia - non rientrano (o non dovrebbero rientrare) nelle mie abitudini alimentari... ma il basilico NO!
di conseguenza, l'altroieri l'ho intimidito scaraventandogli addosso il ciuffo zuppo d'acqua del mocio Vileda. preso alla sprovvista, con un gru-gru infastidito si e' buttato alla Fosbury giu' dal davanzale. ignoro quel che possa essere accaduto, fatto sta che il weekend e' stato pigeon-free. 

ho aperto con questa eccitante ed interessantissima prosa :-) mentre riflettevo sul fatto che sono trascorsi gia' due anni dal mio arrivo a Bruxelles. ogni tanto, e ammetto che spesso mi capita trascorsa l'euforia del giorno del mio compleanno, mi fermo a tirar le somme - letteralmente - dell'ultimo periodo. per esempio, in due anni e da quando sono in questa casa ho rotto quattro calici da vino Ikea (vabbe', Ikea dai, si sa...), fatto andare in corto circuito il forno (dalla geniale combinazione con lavastoviglie e lavatrice accese), iperannaffiato un cactus (che si e' accasciato il giorno dopo) e scheggiato il lavandino (non so neanche come ma so che l'ho fatto io perche' prima non c'era :P). sul lato meno drammatico, ho comprato un letto, fatto installare una porta (per cause di forza maggiore, sigh, in compenso ora abbiamo un portone pesantissimo che a malapena riesco ad aprire) e pagato per la prima volta un mutuo.
poi ci sono tante altre cose che non trovano posto nei numeri, e sembra non siano accadute solo perche' non possono essere contate. ci sono cose piu' o meno banali, spirituali o private che forse la memoria razionalmente tende a chiudere in un cassetto, proprio perche' non le si puo' enumerare.
eppure mi basta scorrere l'agenda all'inverso per farmi spuntare un sorrisetto soddisfatto in viso, quello di chi pensa "wow, davvero e' successo tutto questo l'anno scorso e io sono riuscita a superarlo?!".

un po' come il sorriso del post-colpo di mocio.
e se poi adotto un gabbiano triestino e lo piazzo sul balcone, sai che sorrisoni.



giovedì 12 luglio 2012

cambrioleo cambriolea

questa mattina la sveglia ha deciso, brava lei, di andare ufficialmente in ferie. la giornata e' iniziata di conseguenza senza doccia, senza colazione e senza caffe'. ora, nella mia dieta quotidiana da milleseicento calorie circa la colazione rappresenta non solo il pasto piu' importante ma anche quello che contribuisce ad 'aprire' il nuovo giorno e a mettersi al lavoro un po' meno rincretiniti del solito. soprattutto, la preparazione della moka e' in se' stessa un rito irrinunciabile, e come ogni rito insegna quando lo si salta - ahiahiahi - si puo' gia' percepire il presagio di sventura nell'aere (vedi Italia-Spagna di qualche settimana fa).
il mese di luglio e' iniziato un po' come questa giornata. senza caffe'. ovvero di merda :-) 
dopo le grane burocratiche in comune, la dichiarazione dei redditi, l'assicurazione, i contratti con la compagnia telefonica, il consolato, l'ambasciata, il servizio clienti e gli ospedali, ora signore e signori abbiamo anche il primo furto in appartamento e possiamo dire pertanto di essere finalmente integrati nella comunita', merci la Belgique

per chi non fosse al corrente delle puntate precedenti (in fact, molto precedenti), il primo episodio del genere per quanto mi riguarda risale all'ormai lontano 2005. all'epoca si trattava di un furto nella stanza della residenza universitaria, bottino: portatile, macchina fotografica, cellulare e portafoglio (=contanti, documenti e POSTE PAY, che per una matricola arrivata da tre mesi a roma ha un'importanza pari alla zecca di stato). aggiungiamo il fastidio fisico e psicologico di trovare armadio e cassetti completamente sottosopra e i due giorni di lavatrice per lavare tutto quello che era finito, oibo', per terra ed ecco il ritratto della disperazione, altro che urlo di Munch. 

percio' quando sette giorni fa rientrando a casa abbiam trovato la porta aperta e al posto della serratura un buco nero, e' scattato il deja vu - questa volta assieme all'urlo di cui sopra. 

fatto questo prologo ahime' necessario ad inquadrare gli eventi, veniamo pero' all'aspetto 'ludico' della questione. sbollita la rabbia, messo a posto casa, fatto l'inventario di quel che manca e relativa denuncia, il pragmatismo sloveno ha avuto la meglio sull'istinto italiano, decretando cosi' che era giunta l'ora di prendere provvedimenti. prima fase del new deal post-cambriolage: la difesa. vale a dire, per ovvi motivi, cambiamo la porta. dopo una breve ricerca on-line delle ditte del circondario abbiamo fatto la nostra scelta e preso appuntamento per una visita il giorno successivo. 

l'indomani all'ora x vediamo avvicinarsi al palazzo un furgoncino metalizzato dall'aria quantomai sospetta per una ditta di porte blindate. decidiamo nondimeno di dar fiducia al nostro uomo e apriamo. 
dall'ascensore spunta Jean-Claude Van Damme, o una copia autenticata dell'originale coi capelli brizzolati, il sorriso smagliante, gli occhialetti da grafico pubblicitario e i bicipiti del diametro degli pneumatici da neve. che nel giro di dieci minuti
- ci ha sbobinato tutto il catalogo di porte, portoni, inferriate, grate, filo spinato, mine a grappolo e cani da guardia, 
- preso le misure della porta di ingresso
- fatto il preventivo
- e scolato mezzo litro di succo d'arancia fresco fresco di spremuta with the compliments della casa. 

salutato l'omone e dato un'occhiata al preventivo, ci siamo chiesti per un attimo se non avesse un miglior rapporto prezzo/qualita' comprare un dobermann. o addestrare uno shar-pei alla lotta greco-romana. o piu' semplicemente, subaffittare una stanza al sosia di Van Damme e invitarlo a venire a stare da noi. 

vedi mai che in caso di recidiva i ladri non mi si spaventano alla vista degli occhialetti. 



venerdì 1 giugno 2012

i belgi ce l'hanno piu' grosso (il barbecue)

A chi dice che a Bruxelles piove sempre/il cielo e' grigio tutto l'anno/non esce mai il sole, ci si tiene a far sapere che il weekend lungo da poco trascorso (ahime') ci ha regalato delle atipiche temperature medie superiori ai 25 gradi - come recita l'EDIZIONE STRAORDINARIA pomeridiana del tg, dovessimo mai allarmarci.

Di riflesso, ecco spuntare le prime timide (ma neanche troppo) carni tremule e lattiginose agli infuocati raggi di mezzogiorno - le stesse carni che in serata si ritrovano, sorpresa sorpresa, ustionate ed ipersensibili al tatto.
In barba a quel po' di sano pudore in base al quale - nonostante i trenta gradi all'ombra e la nota cappa di calore del litorale abruzzese - mia madre mi imponeva di portare maglietta e pantaloncini degni di questo nome quando si andava in giro in citta' o per negozi, ici on s'en fiche a quanto pare, e viaaa con i parapassera di ogni foggia e taglia per lei e le t-shirt in cotone slavato con scritte promozionali per lui.

Date le carni pallide di cui sopra, i supermercati cavalcano l'onda dell'entusiasmo tardo-primaverile ed ecco che nel giro di 24 ore arrivano gli espositori di solari/autoabbronzanti/doposole/olii/infradito/stuoie/parei/racchettoni omaggio all'acquisto di tre creme fattore di protezione cento, due confezioni di burro di karite' e dieci spray rinfrescanti al profumo di redbull.

Strade ed autostrade si riempiono dei primi vacanzieri del fine settimana diretti verso la costa belga, costa a mio avviso inspiegabilmente popolata data la sabbia terrosa e il mare color naviglio di Milano in inverno.

Ma a confermare che la bella stagione e' finalmente arrivata anche in Belgio non e' il pallore degli abitanti stesi sui plaid di acrilico nei parchi, ne' il 3x2 sui gelati in vaschetta ne' il traffico del rientro. Nossignore. Quando arriva il caldo, il capofamiglia belga doc tira fuori gli attributi. O meglio, il barbecue.
Come insegnano gli etologi, prima ancora della psicanalisi, e' nella natura del maschio dominante esteriorizzare la sua superiorita' al fine del riconoscimento da parte del gruppo di appartenenza. Elogio della banalita' vuole che ci sia chi fa la ruota, chi mostra un bel paio di corna lucide e chi proietta il desiderio di farsi notare su un oggetto. Et voila', i giardini delle villette, i prati, persino i balconi si riempiono di griglie, bracieri, pinze, coltelli ed immancabili, le lattine di birra per terra.
L'atmosfera, apparentemente festosa e rilassata, e' in realta' quella di una guerra fredda col vicino: a spuntarla e' quello con l'attrezzatura piu' grande, piu' moderna, piu' costosa o semplicemente piu' funzionale, e qualora lo sconfitto non si rassegni al pur evidente stato delle cose, scatta il ricorso ai superpoteri - o ai temibili fogli di giornale, sventolati alla velocita' della luce pur di deviare la corrente d'aria e indirizzare i fumi e la cenere verso il campo nemico.

Il maschio belga organizza l'operazione barbecue con la diligenza dello stratega in pensione: il sabato mattina la sveglia e' puntata alle otto, per essere sicuri di arrivare in tempo per l'apertura del supermercato. Nel giro di mezz'ora, le scorte alimentari previste per il fine settimana dal punto vendita sono quasi esaurite. Qui si griglia di tutto: pollo, maiale, salsicce, costolette, salmone, spiedini di pesce, verdure, frutta probabilmente in un moto di ottimismo finiscono sulla brace anche le gaufres. La sola cosa non contemplata e' il pane per fare le bruschette, sigh sob.

Si inizia a mezzogiorno e si va avanti fino al calar delle tenebre, i veterani proseguono anche in notturna, in barba al sudore e ai bermuda color kaki tempestati di schizzi d'olio.

L'indomani si continua, energie e avanzi permettendo, oppure si tirano le somme, si proclamano i vincitori e ci si da' appuntamento al prossimo week-end.

Evidentemente la febbre del barbecue colpisce tanto gli habitue' come gli amatori, che contagiati dall'euforia collettiva si improvvisano master-chefs roteando spavaldi il forchettone nell'aere sperando di mascherare cosi' l'incompetenza.
Neanche a dirlo, l'ultimo barbecue a cui abbiamo partecipato ha visto protagonista uno di questi dilettanti allo sbaraglio. Al termine di una buona mezz'ora di ripetuti solleciti privi di risposta, quando eravamo ormai convinti che il diabolico oggetto si rifiutasse di collaborare a priori, dal braciere e' cominciata a salire una fumata nera degna della mancata elezione papale.
Dopo aver contribuito all'inquinamento atmosferico locale per circa venti minuti i partecipanti si arrendevano, ormai annebbiati dalla prolungata esposizione al fumo passivo, abbandonavano la seduta e di comune accordo decidevano di procacciarsi del cibo presso la pizzeria al taglio (italiana) del quartiere.

Forno a legna 1 - maschio dominante 0.










venerdì 25 maggio 2012

Sogno o son Parco?

Dimenticate i corridoi di color bianco sporco, il tanfo di disinfettante, le panche di plastica e ferro delle sale d'aspetto e gli annunci alle Signorie Vostre ormai ingialliti affissi ad uno sportello perennemente chiuso: l'ospedale a Bruxelles e' cool! O almeno, parlo di quello che ho avuto occasione di sperimentare personalmente - e ammetto, con piacevole sorpresa.
 
Partiamo dall'esterno, o meglio dal nome. Gli ospedali finora visitati in Italia gia' dal patronimico non trasmettono sempre fiducia, basti pensare a quelli intitolati ai santi protettori - come a dire "Noi ve lo avevamo suggerito, di votarvi a San Tal dei Tali prima di fare quella rettoscopia ahi ahi..." -  o alle strutture che portano il nome degli Atenei di riferimento - il piu' delle volte lontani anni luce dal Seattle Grace di Grey's Anatomy dove pare si sperimenti una tecnica salvavita ultramoderna ogni mezz'ora e il personale sembra uscito fuori dal catalogo D&G beachwear

L'ospedale belga in questione invece si chiama Parco. Ed ecco che subito lo associ al sole, al verde, ai panini e al plaid gigante da pic-nic, insomma, ti vien quasi voglia di prenotare una camera doppia per il week-end. Quando ti rendi conto che in realta' avresti dovuto associarlo anche a Parco della Vittoria per via dei prezzi - proprio lui, quello della casella aguzzina del Monopoli - e' troppo tardi, ma ti consoli fantasticando ancora sul pic-nic sui prati e alla carta unta e bisunta del panino con la frittata. 

Veniamo poi all'ubicazione. Al bando gli ospedali irraggiungibili della periferia o vicini al raccordo autostradale, l'ospedale Parco e' in pieno centro, nel cuore della ville, servito da metro ed autobus, con annessa fermata taxi difronte e rent-a-bike accanto. Tutto attorno, e' una costellazione di banche e parrucchieri, che immagino siano li' a soddisfare, nella mente di chi l'ha concepito, i bisogni primari di pazienti e familiari prima e dopo il ricovero. 
Una volta entrati, scopro che c'e' una coppia di addetti all'accoglienza che mi sorridono, mi indicano dove andare e mi augurano una buona degenza. Oibo'. Non essendo abituata a questi slanci di empatia, la cosa mi colpisce a tal punto che quasi quasi mi vien voglia di fermarmi piu' del previsto, che so, mi faccio fare una chirurgia plastica del ditone del piede o dono qualche pelo superfluo alla ricerca, vedi mai che si scopre come bloccare la ricrescita.

Ma le sorprese dell'ospedale Parco non sono mica finita qui. Salita su in reparto, nella sala d'attesa ci sono pile e pile di giornali e riviste. RECENTI. Quasi nuove. In inglese, francese, tedesco, neerlandese e ne trovo un paio anche in italiano. E poi c'e' un sottofondo di musica ambient che fa tanto Buddha Bar. Ed un distributore d'acqua liscia, gassata e con ghiaccio - la prossima volta ho previsto di portarmi dietro una bottiglia di Bacardi e un po' di menta, e magari allestiamo anche un happy hour

Last but not least, l'ospedale Parco ha delle camere doppie grandi quanto la mia camera nella residenza universitaria di Roma - che e' attualmente camera doppia deluxe in quello che e' diventato un hotel 4 stelle, ma questa e' un'altra storia. Col televisore al plasma. E la connessione wi-fi. Altro che telefono a gettoni. Cosi', se proprio ti scappa di rispondere ad una e-mail prima che ti ficchino una flebo nel polso o se vuoi fare il check-in online mentre aspetti che l'anestesia faccia effetto, sappi che qui yes you can

Credevo di aver gia' scoperto tutte le sette meraviglie dell'ospedale Parco fino a quando non sono entrata in sala operatoria, dove oltre all'intrigante tovaglia/pigiama vedo-non-vedo e un braccialetto al polso, mi hanno ulteriormente addobbato con delle sexy autoreggenti anti trombo bianco candido col tallone modellato ed apertura sulle dita. Un bijou.
O forse, l'ottava meraviglia e' stata la pillolina di Xanax presa un'oretta prima.
O forse, sono ancora frastornata da questo universo surreale e mi svegliero' quando arrivera' il bollettino con l'importo da pagare per tutta questa coolitudine


martedì 17 aprile 2012

what does not kill you makes you Sean


Si fa così. Si comincia con mille buone intenzioni, ci si sveglia presto, ci si prepara e si parte di buona lena. Poi lungo la strada accade qualcosa che toglie il fiato e rubale energie, e allora si decide di star zitti per un po'. Che tanto non se ne accorgerà nessuno, poiché si dice spesso che in tutto quel che accade non è il mentre, bensì l'inizio o l'epilogo a suscitare reazioni e ad esser ricordato – come con le conferenze, che pare passino alla storia o per il ritardo sulla tabella di marcia nell'apertura dei lavori o per il buffet.

Si tace perché chi tace acconsente, e anche se in teoria non acconsente ad una carrellata di imprevisti nel raggio di due settimane, dopo un po' impara a fare i conti con la pratica.
Si cede il posto al silenzio perché è forse la più intima delle difese, quel luogo protetto dove nessuno si scomoda a entrare, tantomeno a far domande.

Nel frattempo non che la vita si fermi, anzi: si scrive, si pubblicano articoli, si viaggia, si torna, si vince un concorso, si cerca un lavoro, si studia, si leggono pagine che si preferiva non leggere, si va da un medico, si va da un altro medico in città, si cambia città e si cambia medico sperando che a volte la proprietà commutativa fallisca, si litiga, si gestisce una relazione via telefono, si continua a cercare lavoro, si spedisce una lettera perché in fondo si ama dilatare la comunicazione, si aspetta una risposta. Ma a differenza di chi preferisce farsi sentire, c'e' chi ama non fare rumore.   

Et voilà, archiviata la nota esplicativa iniziale e superata in parte la fase blue dei mesi scorsi, ho deciso di uscire dal letargo estetico-sociale (sicuramente coadiuvato dalle temperature polari di questa settimana) e dedicarmi ad attività ricreative assolutamente prive di senso filantropico ma capaci di aumentare esponenzialmente i livelli di serotonina superficiali. A tal fine, per celebrare il disgelo, si è scelto di immolare la discreta riserva di Colle Secco della Cantina Tollo che fino a qualche giorno fa abbelliva il mobiletto Klinqnovisstelfaldkavull della cucina Ikea. Inoltre, l'immancabile ricaduta nell'onicofagia che accompagna le mie fasi lunari calanti da quando ho otto anni può dirsi quasi del tutto oltrepassata, e in onore del ritorno alla normalità ho previsto una seduta di fish manicure e pedicure. Sguissshhhhh. Soprattutto, come fanno tutte le donne convinte di esercitare in questo modo il controllo sul proprio corpo in un periodo di crisi, sono andata dal parrucchiere – luogo per me ancora inesplorato nel terziario della ville e che per svariati motivi non poteva non essere oggetto di questo post.

Premetto che la diffidenza che mi ha allontanata finora dai coiffeurs e coiffeuses locali e' stata onestamente motivata da una difficoltà linguistica in primis (ad esempio, qual e' il margine di manovra applicato in loco ai vaghi concetti di "spuntatina" o di "asciughiamoli al naturale") e dal rapporto servizio offerto/prezzo spesso discutibile. Se a questo aggiungiamo l'intolleranza personale alle mani di sconosciuti hair stylists o presunti tali che mi tastano il cuoio capelluto e mi pettinano con la grazia degli elefanti col tutu' di Fantasia, magari si capisce perché ho aspettato tanto.
Sabato scorso pero' ho preso finalmente il coraggio a due mani e il dizionario tascabile in borsa, e ho deciso di dar fiducia al parrucchiere sotto casa per togliere tre dita di doppie punte sigh sob. Mai avrei pensato di ritrovarmi all'interno di un universo parallelo a metà tra la versione kitsch della casa di Barbie, il salotto di Malgioglio e una sit-com americana degli anni novanta. Varcato il sobrio ingresso del salone Sean Style (dove Sean è il nome del pargolo dei proprietari, che ovviamente figura in versione nature sul retro dei biglietti da visita fucsia), si è aperto un bizzarro mondo fatto di carta da parati zebrata, palla da discoteca che pende dal soffitto, ghirigori di paillettes agli angoli degli specchi e tappeto in pelo di mucca. A darmi il benvenuto, due subalterni con la cresta e le sopracciglia decisamente più curate delle mie e Madame Sean, che in quanto padrona di casa e' l'unica autorizzata ad armeggiare con un paio di forbici rosa glitterate (cosa che però non giustifica l'abbinamento della maglia leopardata con profondo scollo a v al motivo animalier dipinto sulla cuzzetta biondo platino).
Per completezza d'informazioni, diremo che Madame propone anche la ricostruzione unghie declinata in ben tre cataloghi dai quali poter scegliere il variopinto e discreto motivo che più si adatta alla personalità del/la cliente. Nel mio caso, unfortunately, dovrò aspettare ancora un pochino per poter approfittare della fantastica offerta.
Ad un certo punto dell'improbabilità generale, tra uno shampo very very pink, niente balsamo, una pettinata che ha toccato la soglia del dolore dove neppure l'estrazione dei denti del giudizio era arrivata, la lettura (?) delle riviste di gossip locali pregne di vips belgi (?) in mutande ed MTV hits incaricata di diffondere rap francofono nell'aere, dal retrobottega e' uscito fuori uno Shar-pei dal collare ça va sans dire rosa shocking, che dopo un giro di perlustrazione del locale si e' accomodato sull'ex bovino steso sul pavimento e ha cominciato a fissarmi. Ironicamente, con la mia stessa espressione d'incredulità.
Terminato il parrucco, ho pagato, ringraziato e promesso di tornare a trovarli. Più che per le doppie punte, ho la sensazione che mi mancherebbe lo Shar-pei – e un po' io a lui ;-)





venerdì 20 gennaio 2012

eat parade

Certamente non pretendo di riuscire ad alleggerire con un post umile e scanzonato il carico (senza alcun riferimento voluto al concetto di bastimentoànaveàCeline Dion) di notizie che quotidiani, reti televisive e pagine web ci hanno consegnato in questi giorni – anche se il solo fatto che il 2011 abbia visto il trionfo di una Pippa e il nuovo anno si apra con un'altra (ok, con una P in meno) credo non lasci presagire nulla di buono, damned Mayans.
Ma è proprio nei periodi più bui che gli uomini si rifugiano nelle certezze, e non v'e' dunque momento migliore per esplorare il tema tanto scontato quanto soddisfacente della gastronomia locale. E dopo un anno e mezzo trascorso nel regno della patata, ritengo di poterlo fare con cognizione di causa – per giustizia, specifico agli eventuali lettori con cromosoma Y ed etero che il termine di cui sopra è da intendersi come tubero commestibile, e non giustifica pertanto la corsa su volagratis.it alla ricerca di super offerte in direzione Belgio.

Prima di entrar nel merito dell'occasione specifica che è un po’ all’origine di queste righe, è necessaria una premessa che illustri i motivi di una trattazione che sarà volutamente ricca di stereotipi.  Al primo posto dell’hit parade dei luoghi comuni, più ci si allontana in qualunque direzione dall'Italia, più ci si deve abituare all'idea che non si mangerà mai così bene come in Italia. Cosa che in sé ha un suo fondamento, digiamolo. Personalmente, ai miei esordi da expat cercavo di comportarmi da pacata globetrotter e di non incapricciarmi con la pretesa di trovare l’Estatè e il Nonno Nanni agli stessi prezzi in qualunque altro stato del mondo. Poi è comparso il desiderio di riscatto, e in un impeto patriottico risorgimentale ho detto BASTA  ai compromessi J E anzi, non ho problemi a ribadire a tutte le persone che non perdono occasione per deridere il mio paese e i suoi inguaribili mali che sì, avremo la gerontocrazia nelle università, il governo tecnico, le raccomandazioni, la criminalità organizzata al Nord e al Sud, la Lega, la Salerno-Reggio, la disoccupazione al 30%, ignoti volontari che pagano le vacanze e l'affitto ai membri della Casta e quant'altro, ma GUAI a mettere in discussione le nostre competenze in materia culinaria. Che in fondo (e qui scatta il luogo comune numero due) è uno dei pochi marchi che ci resta, visto che abbiam fatto del nostro meglio per uccidere i poeti e dimostrare di non essere un popolo di santi - men che meno di navigatori. Ma almeno lasciatece magna'.

Chiarite dunque le basi della polemica, analizziamo nel dettaglio i miei motivi di discordia con la cucina del posto. Chi ha avuto il piacere di sperimentare di persona, saprà che gli autoctoni sono tendenzialmente biondastri, dalla carnagione chiarissima e con le gote rosse, e variamente flaccidi. Il che è presto spiegato se si elencano gli alimenti di base della dieta belga: patate, uova, cipolle, cavoli, carne rossa, formaggi stagionati e birra. Su tutto trionfa il burro, che qui sostituisce l'olio e compare spesso nella composizione delle >30 salse che sinora ho potuto contare. Anche l'insalata –  che solitamente fa rima con dieta – viene proposta con le scaglie di Emmental, le uova sode e i cubetti di pancetta, o meglio i lardons che in lingua originale ti fanno sentire in colpa al solo pronunciarli. Si narra tra gli espatriati che dopo un anno trascorso in loco si prendano in media sette chili. Oibò.  
L’elenco non esaustivo dei piatti tipici include il sanguinaccio, polpette al sugo, stufato di manzo, rollè di carne chiamato "uccello senza testa" giusto per renderlo più succulento all'orecchio del turista, coniglio cotto nella birra, purè di patate e porri e, immancabile, l'anguilla (sguishhh) alle erbe. Il primo grazie a Dio lo saltiamo a piè pari – perché no, non volete farvi cucinare una pasta al sugo da un belga dati i summenzionati presupposti. Diremo però che i nostri farinacei vengono gioiosamente sostituiti da zuppe tendenti al marroncino e preparate con lo scalogno, i broccoli, il mais etc. che pare allietino i gourmands locali. Per quanto concerne le bevande, si sappia che è lecito e quasi doveroso pasteggiare con la birra, spesso una trappista dagli 8 gradi in su – vedi mai che l'uccello ritrovi la testa perduta e spicchi il volo su per l'esofago.
Nata e cresciuta in un paese di mare, mi rallegra che, accanto al succitato animale cilindrico, in pescheria si possano trovare anche dei pesci normali come la sogliola e la pescatrice che continuo felicemente a cuocere nel forno con pomodorini, capperi ed olivette in barba al monito europeo sullo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche. Senza burro (sfidando scomunica dalla chiesa del quartiere).



Date le aspettative della cucina locale, capirete la difficoltà dinanzi all'invito ricevuto qualche giorno fa da una coppia di amici di amici di amici di amici naturalizzata belga (ahimè, anche in cucina): al di là della sensazione, come dire, di straniamento nello stare a tavola con una ventina di persone che si conoscono a malapena di vista, la scelta del menu non ha aiutato a rendere l'atmosfera più gioviale – per banalità, daremo la colpa alla salsa all'aglio che fungeva da piumone, più che da letto, per la carne. Di fronte al trittico pomodori ripieni di gamberetti in salsa rosa-bistecca con salsa aïoli e (guess what?) patate al vapore-crostata al rabarbaro, anche lo stomaco del mio consorte (che di norma potrebbe reggere anche un cinghiale selvatico intero, purché senza peli) ha gettato la spugna. Attendevamo dunque con ansia il riscatto del caffè fino a quando si è scoperto che in onore delle origini diciamo dell'est della padrona di casa, la bevanda in questione era stata preparata secondo la ricetta alla turca, ovvero acqua bollente, cucchiaiate di caffè in polvere e giù, nelle tazze – per carità, Domen ha gradito, io volevo prenderla a padellate.

Dopo tre amari e un Ferrero Rocher ci siamo congedati dagli ospiti e dal resto degli sconosciuti con la promessa di ricambiare il loro invito, same time our place. Possibilmente senza aglio.



Per carità, non nego che, come tutti e forse più di altri, sul capitolo cibo io riesca a transigere poco. Ma in realtà, intimamente, credo sia un atteggiamento condiviso da una buona maggioranza dei palati, più che dei cervelli, dei connazionali espatriati. Probabilmente quelli esigenti siamo noi, con i nostri vizi e virtù da buongustai, col chiodo fisso della pasta al dente e della moka, con l'olio extravergine che regna sovrano dovunque specie sul pane casareccio per il più semplice e buono dei pasti. Siamo noi ad essere stati educati al sapore delle cose buone, ai profumi che si sposano a un buon bicchiere di vino, ad una tavolozza di colori nel piatto e agli ingredienti che cambiano con le stagioni (effettivamente, si può dire che da noi le stagioni ancora cambino). Siamo noi ad attribuire al cibo un valore che va oltre il semplice concetto di alimento, siamo noi a credere che tramite il cibo un popolo esprime la sua visione del mondo e della vita.
E si sa che a parlarne con un italiano non se ne esce vivi, poiché si finisce sempre o sul litigio (solitamente con uno straniero recalcitrante) o sull'ammirazione (con uno straniero "italofilo") o sulla nostalgia (con un conterraneo all'estero).

Forse almeno in questo ci resta qualcosa da condividere, se non proprio da insegnare.
Qualcosa che continua ad alimentare i diffusi luoghi comuni.
Qualcosa che sia ancora nostro vanto.
Ma riusciamo a fare in modo che non se ne accorga nessuno, tanto sembriamo abituati a comportarci da Italietta.

giovedì 12 gennaio 2012

everybody needs a Willy :-)


A gennaio, si sa, il ritmo di lavoro riprende in maniera direttamente proporzionale alla scomparsa degli "out of office" dalle caselle di posta elettronica.
Personalmente, al sesto giorno di messaggi introdotti da Buon anno/Buon rientro/E' stato piacevolissimo lavorare con lei durante tutto il 2011, ho smesso di scrivere convenevoli di circostanza – specialmente a quelli che in base a bizzarre supposizioni, mi hanno chiesto come ho trascorso le vacanze a casa in Romania...

Anno nuovo chiama a sé l'inevitabile lista di nuovi propositi, da aggiungere puntualmente a quelli che si trascinano dall'anno scorso e da quelli precedenti. Sorvoliamo pertanto sull'argomento e sui temi più gettonati per non tediare ne' chi scrive ne' chi legge - vale a dire l'autore e pochi adepti
Anno nuovo porta con sé le novità di rito dei colleghi: chi torna con il taglio di capelli nuovo, chi con gli occhiali nuovi, chi con le tette nuove (che se sono veramente il risultato dell'allattamento, I wish I can get pregnant now, buon Dio). Poi c'e' chi arriva carico di idee nuove che dovrebbero teoricamente portare una ventata di freschezza nella pesante, quotidiana eurocrazia, idee immediatamente smontate nella prima riunione di unità di gennaio. Ed infine c'e' chi cambia i regolamenti interni, le procedure, gli accordi inter-istituzionali e si spinge fino all'organigramma pur di non cambiare di fatto nulla, come nella miglior visione gattopardesca.


Pensavo ai cambiamenti e alle giornate che passano sempre troppo in fretta mentre assistevo la settimana scorsa alla "svestizione" dell'albero di Natale, un timido abete nano piazzato un po' in disparte in un angolino della nostra caffetteria. Palla dopo palla, filo dopo filo ed ago dopo ago, del gioioso sempreverde non e' rimasto che un triste tronchetto – che ancora giace inerme nel solito angolino, dove rimarrà molto probabilmente fino alla prossima festività cristiana – peraltro deriso da tutti quelli che passano a prendere il caffè.
Poi, all'improvviso, mentre guardavo il tronchetto e pensavo alla lista delle cose da fare che mi attendeva sulla scrivania, ho visto lui: Willy, o l'uomo del termostato. E lì ho avuto l'illuminazione.

L'uomo del termostato è l'addetto alla risoluzione di tutti i problemi tecnico-pratici dell'edificio. Le sue competenze spaziano dalla riparazione di un rubinetto che perde acqua alla verifica del funzionamento degli estintori, dalla sostituzione delle lampadine alla regolazione, appunto, del termostato in ciascun ufficio. Non importa quale numero si chiami o quale sia il difetto segnalato, quando la voce metallica dall'altro capo del ricevitore ti congeda dicendo che "un addetto passerà e si occuperà del problema" ci si puo' ragionevolmente aspettare che arrivi lui. Willy. Soprattutto, non importa che si tratti di un guasto non imputabile ad una persona specifica o che la temperatura rilevata nell'ambiente sia di 25 o 5 gradi, Willy dirà che e' comunque colpa tua
Ora, nonostante l'espressione burbera e perennemente incazzata del soggetto in questione, trovo stranamente che ci sia qualcosa di rassicurante nell'uomo del termostato. Nel solo fatto di poter contare su di lui e sulla predica che inevitabilmente toccherà ascoltare una volta sollecitato il suo intervento. Nel fatto che passano le stagioni, crollano i dittatori, delirano i mercati e aumentano i prezzi, ma lui è sempre lì, noncurante, con la salopette da lavoro blu, e sembra non preoccuparsi di nulla fuorché del filtro dell'aria calda manomesso da qualche incompetente (ovvero io, nella sua logica). Nel fatto che, malgrado tutto, ogni problema con lui e' risolvibile.

E così, mentre lo guardavo borbottare qualche cattiveria contro quel che restava dell'albero, ho ceduto e ho segretamente pensato anch'io al mio buon proposito per il duemiladodici.
Mi piacerebbe imparare a prendere tutto un po' più alla leggera, a cominciare da me. A dare il giusto peso alle cose, e a trovare il tempo per la felicita' prima della serieta'. A ragionare con la pancia, e non sempre necesariamente con la testa. E convincermi che in fondo a tutto si può trovare rimedio. 
Anche al mio termostato.